I diritti alla salute sessuale e riproduttiva sono sempre più al centro del dibattito mediatico ma ci sono forme di violenza ed abuso ancora molto nascoste, tra le quali la violenza ostetrica. Vediamo insieme di cosa si tratta e come si può arginare questo fenomeno.

COS’È LA VIOLENZA OSTETRICA?
L’espressione “violenza ostetrica” viene introdotta per la prima volta nel 2007, in Venezuela, all’articolo 15.3 della “Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia“, dove viene descritta come:
“appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”.
Da allora molto è cambiato e la questione ha ottenuto spazio nel dibattito internazionale.
LA VIOLENZA OSTETRICA NEI DOCUMENTI INTERNAZIONALI
Nel 2014, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato una Dichiarazione per la prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere, in cui sono elencati i tipi di trattamenti «irrispettosi e abusanti» tenuti nei confronti delle donne durante il parto, tra i quali:
- abuso fisico diretto
- umiliazione e abuso verbale
- procedure mediche coercitive o non acconsentite
- mancanza di riservatezza
- carenza di un consenso realmente informato
- rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore
- rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere
Nel 2018 le Raccomandazioni sull’assistenza per un’esperienza di parto positiva (OMS) hanno fornito delle linee guida ai Paesi della comunità internazionale basate sulla tutela e sul rispetto dei diritti umani. L’anno successivo, il Rapporto sui maltrattamenti e la violenza durante il parto dell’ ONU e la Res. 2306/2019 del Consiglio d’Europa hanno esplicitamente collegato il fenomeno della violenza ostetrica alla violenza e alla discriminazione contro le donne, come già previsto sia dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 che dalla Convenzione di Istanbul del 2011.

COME POSSIAMO DEFINIRE, IN SINTESI, LA VIOLENZA OSTETRICA?
La definizione di violenza ostetrica, oggi, comprende numerose categorie di abuso commesse durante la gravidanza e il parto, ma anche, oserei dire, durante il periodo di ricerca di una gravidanza. Tra queste possiamo citare: l’abuso fisico, verbale e psicologico, la mancanza di consenso informato e di privacy, il ricorso a procedure eccessive e dolorose senza un’adeguata terapia del dolore, procedure altamente sconsigliate dall’OMS, quali, ad esempio, l’episiotomia e la manovra Kristeller.
A queste pratiche si accompagnano, poi, tutta una serie di violenze meno percettibili, ma che lasciano segni indelebili sulle vittime, come, ad esempio, abusi verbali e umiliazioni, divieto di scegliere la posizione preferita durante il travaglio-parto o di avere con sé una persona di fiducia, situazioni di totale mancanza di riservatezza, digiuno imposto, impossibilità di tenere il bambino con se subito dopo la nascita, e così via.

COSA SI È FATTO, AD OGGI, PER INTERVENIRE SUL FENOMENO DELLA VIOLENZA OSTETRICA IN ITALIA?
In Italia sono ancora poche le iniziative per contrastare la violenza ostetrica anche se, negli ultimi anni, qualcosa si è mosso. Nel 2016 venne promossa sui social la campagna di sensibilizzazione “#BastaTacere: le madri hanno voce” e l’anno successivo ci fu la prima indagine nazionale sul fenomeno promossa dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia. L’indagine “Le donne e il parto” ha coinvolto circa cinque milioni di donne italiane tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni.
Dalla ricerca è emerso che il 21% delle madri dichiara di aver subito una forma di violenza ostetrica. La percentuale equivale a un milione di donne, che hanno valutato come umilianti, irrispettose o lesive le modalità attraverso le quali sono state accompagnate dal personale sanitario in un momento così delicato come quello del parto. Le esperienze furono anche molto traumatiche, tanto che il 6% del totale ha dichiarato di non aver voluto affrontare una seconda gravidanza.

La regione Emilia-Romagna ha creato il sito “Nascere in Emilia-Romagna” per mettere a disposizione tutte le informazioni necessarie per una scelta consapevole sul luogo del parto (ospedale, domicilio o casa di maternità). In Trentino, il “Percorso nascita” prevede la tempestiva presa in carico della partoriente da parte di un’ostetrica dedicata, che seguirà la gravidanza fino a otto settimane dopo il parto, senza costi aggiuntivi.
Un passo fondamentale per contrastare la violenza ostetrica è, proprio, informare le donne e le famiglie circa i propri diritti ed aiutare ad effettuare scelte consapevoli. Gli incontri di accompagnamento alla nascita servono proprio a questo e devono essere potenziati, avviati in epoca piuttosto precoce e gestiti da più figure professionali, come psicologi, ginecologi, pediatri, oltre all’ostetrica, aumentando anche la rete e i servizi offerti dai consultori territoriali.
Un altro intervento importantissimo, utile per arginare il fenomeno della violenza ostetrica, è quello di garantire al personale sanitario condizioni di lavoro adeguate per favorire il benessere lavorativo e costante formazione specifica per un’assistenza alla gravidanza, al parto e al post parto, rispettosa ed empatica, adeguando le pratiche alle linee guida OMS.
È fondamentale continuare a parlarne e tenere alto il livello di attenzione, anche mediatica, sul tema della violenza ostetrica, perché questo fenomeno possa diventare presto solo un brutto ricordo.
“Un buon parto va oltre ad avere un bimbo sano”
Dr Princess Nothemba Simelela, WHO Assistant Director-General for Family, Women, Children and Adolescents